Da più di un anno, i teatri privati in Italia vivono una situazione gravissima. Due stagioni saltate per aria, ingenti perdite economiche, investimenti programmati che non saranno recuperati, né risarciti. È la “pandemia economica”. Ancora non sappiamo quanto durerà, quanti teatri saranno costretti a chiudere o non riapriranno. Né se i teatri più piccoli riusciranno ad accedere al credito per poter andare avanti.
Le misure di sostegno prese dal Governo per tutelare il settore dello Spettacolo sono apprezzabili ma basteranno a un vero rilancio del teatro privato quando la emergenza sanitaria verrà finalmente superata? Quello che serve oggi è una idea forte per la ripartenza. Ripartenza che per forza di cose dovrà essere ponderata e graduale.
Il Covid rischia di essere il colpo di grazie per il nostro settore, che almeno da quindici, vent’anni deve fare i conti con una situazione problematica. Non è certo il momento di contestare quelle politiche culturali che in passato hanno determinato uno squilibrio nella distribuzione dei fondi per il teatro italiano. Ci sarà tempo per proporre misure correttive delle distorsioni generate da una spesa pubblica a volte improduttiva.
Il fatto è che il teatro privato è abituato a reggersi sulle proprie gambe, cioè sui biglietti staccati al botteghino. Ma se i botteghini restano chiusi la ripartenza appare incerta e i costi per riavviare le attività saranno salati, a fronte di un probabile basso ritorno economico. Il rischio è amplificare fenomeni negativi conosciuti negli ultimi lustri.
Da una parte l’idea che per andare avanti si percorra la strada più facile, quella di una affannosa ricerca della approvazione del pubblico, anche quando va a discapito della qualità culturale. Dall’altra la tentazione di richiudersi nella torre d’avorio del cerebralismo a tutti i costi, un modo per cercare l’indulgenza della mano pubblica e coprire il disinteresse sostanziale, se non la incomprensione, del pubblico.
Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che la progressiva, strutturale riduzione delle risorse economiche destinate al teatro privato conduce dritto al restringimento degli spazi di libertà che il nostro settore garantisce nel Paese. Per cui il rilancio dei teatri privati italiani può passare solo da una idea forte di futuro. E il futuro dell’Italia sono i giovani. Le nuove generazioni storicamente più disposte di altre a esercitare quella libertà di critica e creativa che fa maturare una società.
Gli interventi per ripartire dovrebbero quindi premiare chi inizia a calcare le scene. Valorizzare la qualità, chi si impegna nella ricerca teatrale contemporanea, chi ogni anno fa debuttare giovani registi e giovani attori. Solo così riusciremo a riequilibrare le sperequazioni nella distribuzione dei fondi, evitare i fenomeni degenerativi, riavvicinare i giovani al teatro e insieme a loro allargare le reti di comunità. Nel caso di UTR, tutto questo va calato nella realtà del teatro romano.
Il rilancio della Capitale d’Italia è un passo inevitabile. A Roma non mancano i giovani. I teatri privati possono essere integrati in un grande piano di rigenerazione urbana, che tenga insieme mondo della cultura, scuole e università, turismo. Il risultato sarà più inclusione, opportunità professionali, pari opportunità, cura e benessere sociale.
Dobbiamo creare questo circolo virtuoso per ridare uno spazio di libertà ai giovani e fare delle nuove generazioni il perno del rilancio del teatro privato. Se queste saranno le basi di un’azione condivisa, siamo pronti a sedere ai tavoli istituzionali per trovare soluzioni nuove a mali antichi.